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Recensione: Bridget Jones’s Baby

id., GB/USA/Francia/Irlanda, 2016  di Sharon Maguire con Renée Zellweger, Colin Firth, Patrick Dempsey, Sarah Solemani, Jim Broadbent, Gemma Jones, Emma Thompson, Neil Pearson

bridget_joness_baby_1Malgrado le improbe rifiniture chirurgiche che si è inflitta la Zellweger (sembra invecchiata innaturalmente), l’attrice è più in forma che mai in questo terzo inatteso capitolo delle gesta della goffa e simpatica zitella inventata da Helen Fielding (qui cosceneggiatrice insieme a Dan Mazer ed Emma Thompson, che ritaglia per sé un divertente ruolo di ginecologa), tra caratteri noti e inediti. Certo, non poteva essere peggio del floscio Che pasticcio, Bridget Jones! (2004), tuttavia il ritorno al timone di Sharon Maguire, che tenne cinematograficamente a battesimo il personaggio nel 2001, è una buona notizia. Di nuovo sola il giorno del suo (quarantatreesimo!) compleanno, Bridget è però diventata una capace – per quanto distratta – produttrice tv. La fugace avventura con un affascinante americano, Jack (Dempsey), creatore di un redditizio sito web per incontri sentimentali, la scombussola ulteriormente. Il colpo di grazia giunge dall’imprevista notte romantica, una settimana più tardi, con il solito Mark (un ingrigito Firth). La protagonista si scopre incinta: di quale dei due? Con uno ha fatto sesso troppo presto, con l’altro troppo tardi (anche sul piano delle probabilità); uno rappresenta un futuro temerario, l’altro un passato scaduto. Una volta informati, i corteggiatori in competizione si prodigano in atti cavallereschi. Un prodotto forse inessenziale, in grado comunque d’intrattenere. Hugh Grant non c’è, ma fa sentire ugualmente la sua presenza. Enzo Cilenti fa il “solito” italiano, Ed Sheeran appare as himself.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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