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Chi m’ha visto, un plot sentito sulla difficile scalata al successo

Giuseppe Fiorello è un chitarrista stanco di vivere all’ombra dei divi del pop ai quali fa da supporter. Il ritorno in Puglia, terra natia, lo poterà ad inscenare la sua scomparsa. Ecco la recensione di Chi m’ha visto

Italia, 2017  di Alessandro Pondi con Pierfrancesco Favino, Giuseppe Fiorello, Mariela Garriga, Dino Abbrescia, Sabrina Impacciatore, Mariolina De Fano, Maurizio Lombardi, Vito Facciolla

Plot evidentemente molto sentito da Giuseppe Fiorello, che partecipa allo script di Paolo Logli e del regista debuttante Alessandro Pondi, forse perché anche la sua scalata al successo è stata ardua (a causa della già acquisita notorietà del fratello).

Il suo personaggio, Martino, chitarrista abilissimo stanco di fare da supporter a divi del pop (molti i cantanti che partecipano as themselves), per giunta da turnista, tornato nel suo demoralizzante paesino d’origine, in Puglia, decide di darsi alla macchia, soprattutto per vedere chi se ne accorge.

In questo piano strampalato l’aiuta non poco lo zelante amico di vecchia data Peppino (Pierfrancesco Favino), pure lui – grezzamente – affamato di ribalta, che gli trova un posto in cui nascondersi (un villaggio abbandonato dopo un terremoto) e dissemina indizi allarmanti.

Un ottimo cast in Chi m’ha visto (all’interno del quale si distinguono inoltre la sexy Mariela Garriga e Sabrina Impacciatore nei panni della cinica conduttrice di un dozzinale programma tv, analoga alla Ferilli del recente Omicidio all’italiana), un titolo simpaticamente ambivalente, un uso ruffiano (ma con misura) del dialetto rendono questa commedia un prodotto d’intrattenimento abbastanza piacevole.

Tuttavia, fatta salva qualche perdita di tempo (forse inevitabile), è doveroso segnalare almeno un paio di elementi distintivi: il quasi invisibile percorso di maturazione del protagonista derivante da un isolamento fra le macerie (chiaramente esistenziali) e il conseguente finale, prevedibile ma dotato di inusitata agilità.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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