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Natale e la magia del bene. Una guida verso il benessere dell’anima

Il Natale è alle porte e in città si respira già un’aria diversa fra luminarie, alberi vestiti a festa, traffico e frenesia per i regali da donare ai propri cari.

nataleQuest’anno mi è stato chiesto di scrivere sul bene, sull’amore, sul senso profondo del benessere in un momento magico come l’attesa del Natale, quindi scusatemi se non riuscirò a rendere l’immensità di un tema così incredibilmente sfaccettato e personale.
Questo non è il solito articolo, ma un piccolo spazio che è bello concedersi insieme.

 

 

Della vita non si può che parlare attraverso la vita. E quindi cos’è il bene? Qual è il bene di cui abbiamo bisogno per sentirci felici?

Viaggio come ogni giorno per andare a lavoro. Le montagne e i paesaggi deserti sfrecciano veloci mentre mi lascio alle spalle il mare. In autobus ci sono i pendolari con le loro vite complesse, ci sono gli studenti con le loro risate a voce alta e le borse piene di speranze, chi torna per passare qualche giorno dai parenti, l’uomo che ha scoperto di essere tradito ma resta con lei perché la ama e aspetta un figlio, la donna che ha ricevuto le scuse del fidanzato in smoking alla stazione e poi ci sono io con la mia scatola piena di biscotti natalizi che profumano di miele, cannella e sincero affetto per gli utenti della comunità psichiatrica presso cui lavoro.

I miei pazienti non lo sanno ma in questi anni mi hanno fatto un dono più grande di quello che io potrò mai ricambiare; mi hanno concesso l’onore di conoscerli e vivere insieme a loro le loro storie, il loro essere diversi e unici, gli sforzi e i sacrifici, l’importanza delle piccole cose, la speranza, la gratitudine, la possibilità di un’altra vita.

La vita quando ci fermiamo ad osservarla ci fornisce già tutte le risposte e credo che il modo migliore per parlare del bene sia fare conoscere le opere del bene, le sue incredibili costruzioni capaci di creare emozioni.

C’è lui che alla domanda ‘cos’è l’amore?’ risponde solo col nome della figlia, una figlia presente, che mantiene due famiglie con enormi difficoltà ma che mai si fa vedere debole agli occhi del padre che non ne sopporterebbe la sofferenza. A lei basta che il padre sia sereno, poco importa se dovrà rinunciare a tanto altro.

C’è lei, un po’ arcigna, che vive nella paura del fare per non restare delusa dall’ insuccesso; la stessa che mi abbraccia e mi sorride per il solo fatto di credere in lei, spronarla e valorizzare le sue capacità anche quando lei reagisce aggressivamente.

C’è lui che delira ma non viene deriso e dimostra la sua riconoscenza con la galanteria e la protettività.

C’è lei che non capisce bene la realtà che la circonda, ma mai si stanca di provare.

C’è lui che brama l’amore e l’accettazione da parte dei suoi genitori, ma non sa come essere diverso e beve e fuma e spende, ma quell’abbraccio della mamma anche se ricevuto molti anni dopo gli ridà forza e speranza e lo aiuta ad essere migliore.

Ci sono loro, lei e lui, inseparabili e pieni di attenzioni l’uno per l’altro, fidanzatini alle elementari, lontani per anni e anni e di nuovo, per caso, insieme in comunità. Si guardano come ogni innamorato dovrebbe guardare il compagno.

Ci sono ogni giorno piccoli atti di bontà nel chiedere ‘come va?’ pensandolo davvero, nel condividere con gli altri il poco che abbiamo, nel trattenere una battuta di scherno che tuttavia farebbe ridere gli amici, nel colorare un biglietto di buona fortuna per chi inizia una nuova avventura, nel ricambiare il sorriso degli altri, nel rinunciare a qualcosa di nostro perché capiamo che c’è chi ne ha più bisogno di noi.

Ci sono le piccole storie e i piccoli gesti di ogni giorno che sostanziano il mondo e lo rendono più degno e piacevole a tutti e ci sono le grandi storie di amore e bontà che hanno dell’incredibile ma che realmente esistono e hanno il potere di far sognare e ridare speranza.

Ci sono loro, lei e lui, entrambi 75 anni, innamorati da ragazzi e separati dal trasferimento in Francia di lei in un tempo in cui non c’erano internet nè cellulari ad accorciare le distanze. Si usava ancora riempire i fogli di dolci parole aspettando che le lettere viaggiassero prima di essere lette e si aspettava; un’attesa che per loro è durata 60 anni visto che le lettere non sono mai arrivate. La madre di lei le strappava affinché potesse dimenticare ma nonostante un matrimonio e sei figli lei non lo ha mai dimenticato e lui non è mai riuscito ad andare avanti perché nessuna era Lei. Lo scorso anno però, ormai vedova, torna in Sicilia per le vacanze e accade che, di nuovo, per caso, quegli stessi sguardi si incrociano come già avevano fatto 60 anni prima e ormai anziani si riconoscono, si ritrovano, si amano. Seppur lontani non avevano mai dimenticato e oggi fra i mille baci che si scambiano per recuperare gli anni perduti, sono una testimonianza di quanto l’amore possa essere più forte di ogni circostanza.

Ci sono le grandi e le piccole storie, quelle che il destino sembra aver disegnato coi suoi attrezzi del mestiere, quelle a cui sembra sorridere di più e quelle che vivono all’ombra negli stenti e nella fatica di far funzionare le cose.

In ognuna di queste storie, in ognuna delle nostre storie, c’è ciò che avvertiamo come un bene e ciò che viviamo come un male. In ognuna delle nostre storie c’è ricerca, dubbio, sofferenza, lotta per superare i propri limiti, attesa ma anche speranza, gioia, impegno, condivisione, comprensione e altruismo.

In ciascuna delle nostre vite c’è tutto questo e molto altro, la percentuale di tutto ciò dipende da ciò che ci capita, in parte, ma il più delle volte dipende dalle scelte che facciamo, dal nostro modo di reagire agli eventi, dalla nostra capacità di leggerci dentro e comprendere gli altri, dalle nostre competenze comunicative ed emotive, dalla nostra assertività.

Oltre le risposte tautologiche, stereotipate, trascendentali e comunemente accettate, comprendere cosa sia il bene non è affatto un compito facile e spesso passiamo una vita intera per cercare di capire quale sia il nostro, ma in fondo credo che il bene sia piuttosto la nostra capacità di riconoscere il bene; la nostra capacità di cercarlo, di sentirlo, di costruirlo, di offrirlo e di essere disposti a riceverlo.

In tutte queste storie c’è il bene per come io ve l’ho presentato, ma c’è anche il male inteso come estrema sofferenza delle persone coinvolte, una sofferenza talvolta soffocante e talmente forte da renderci incapaci di vedere il bene che ci circonda.
Potremmo fermarci ad autocommiserarci per la patologia che ci affligge e condiziona intere famiglie, potremmo incolpare la madre che strappa le lettere seppur in buona fede e portargli rancore a vita ma come questo potrebbe aiutarci a sentirci meglio?

La sofferenza esiste ed è legittima, è necessario prenderne atto e comprenderla ma ecco che ci si pone davanti la prima domanda: vogliamo davvero perdere il resto del bene per concentrarci solo sul nostro male? Vogliamo davvero allontanare tutti quando da soli non riusciamo a vedere altro?

Nessuno ci insegna esplicitamente a vedere il bene che ci circonda, in genere è uno di quegli apprendimenti impliciti che si costruiscono con l’esperienza e vengono influenzati dalla nostra personalità.

Ci sono persone più o meno brave a riconoscerlo ‘naturalmente’ (supportate da una buona funzionalità dei neuroni mirror, una corretta alfabetizzazione emotiva, sani stili di attaccamento, buona empatia, buone capacità socio-relazionali etc) ma veramente vogliamo lasciare una parte così importante della nostra vita al caso piuttosto che porci come principio causale del nostro e dell’altrui bene?

Già Aristotele riconosceva alla persona la capacità di porsi come origine di inattese novità attraverso la gestione del nostro desiderare (inscindibile dal fare e ricevere il bene) ma soprattutto attraverso l’impegno e la perseveranza dell’agire.

Occorre imparare a riconoscere il bene per fare bene e per attirarlo a sé, qualsiasi sia il bene che stiamo cercando.

In ciascuno di questi casi siamo noi i protagonisti del bene, sia per quello offerto, sia, ‘stranamente’, per quello ricevuto.

Per questo motivo, proprio in occasione del Natale, mi piace proporvi un gioco che può aiutarci in questo che ci appare ora come un percorso in continua crescita. Ogni giorno, prendiamoci cinque minuti per riconoscere almeno tre cose in cui possiamo ritrovare il bene intorno a noi e celebriamole per come meritano (anche solo raccontarle a qualcuno può essere un buon modo per iniziare).

Dapprima qualcuno lo troverà stupido o complicato ma preso il ritmo inizieremo a perdere il conto di quanta bontà e amore sia possibile osservare in giro e già il fatto di riconoscerlo farà crescere la nostra disponibilità e attitudine a farlo con gli altri ed a riceverlo.

Allenando la nostra capacità di osservazione saremo più bravi anche a vedere il male, ma questo non deve demotivarci nella nostra ricerca tenendo sempre ben a mente il nostro potere causale che potrà agire nel piccolo delle nostre vite ma essere la base per ispirare altri a vedere il bene e praticarlo nel suo piccolo mondo e così a giro in un processo che si autoalimenta.

A me sembra già un ottimo inizio…
Buon Natale a tutti.

 

vervemagazine

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