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Lettera a Massimo Troisi

Un quarto di secolo fa ci lasciava il grande attore e regista di San Giorgio a Cremano. Quanto è importante oggi ricordare Massimo Troisi? Domanda retorica…

Caro Massimo (Troisi),

infrango una regola autoimposta, quella di non scrivere mai in prima persona (lo farei solo per pochi altri. Forse). La forma epistolare, del resto, rende meglio l’idea del posto che, per i più svariati motivi, hai occupato nella mia esistenza (ma cerco di defilarmi subito), tra sketches televisivi mandati a memoria – soprattutto quelli con Lello (Arena) ed Enzo (Decaro), tuttavia non mancavano gli assolo – e ospitate in trasmissioni praticamente istituzionali (a sovvertirne le ingessate regole), film pensati, sceneggiati (spesso con Anna Pavignano, compagna per un tratto del tuo cammino), realizzati (da Ricomincio da tre a Pensavo fosse amore invece era un calesse), abitati, non solo per (far) ridere bensì per riflettere sui sentimenti e persino sulla storia; prove d’attore, per autori diversi (basta un nome: Ettore Scola), personalizzate (o non t’avrebbero chiamato) eppure disciplinate (e, al netto degli inviti – numerosi – declinati per pigrizia o per intuito, perché troppo commerciali, chissà quante ancora avresti potuto regalarcene).

Sei andato via in punta di piedi già da 25 anni, e ricordo bene quel mesto 4 giugno 1994, all’indomani della fine delle travagliate, per te faticosissime riprese de Il postino, l’opera anomala (nel tuo percorso) che ti avrebbe consegnato all’olimpo degli artisti più amati. Anche del giorno dopo mi rammento, dei quotidiani che parlavano di te, delle testimonianze che da allora, in forma di articoli, libri (tanti ne sono stati redatti, qualcuno esce adesso, ulteriori saranno in preparazione), speciali per il piccolo schermo, documentari, si sono succedute quasi ininterrottamente, tra affetto sincero (vedi, su tutti, il tuo “pari grado” Carlo Verdone, l’unico della tua generazione che ha – bene o male – resistito, però si potrebbero citare in aggiunta Arbore, Benigni, Messeri, Minà… E Pino Daniele, che ti ha raggiunto anzitempo) e aneddoti inediti, ora divertenti, ora impensati (dietro la tua calcolata timidezza e la salute cagionevole gelosamente custodita che ti ha fatto spesso affrontare – per esorcizzarlo – l’argomento della morte, c’era un uomo che amava senza dubbio godersi la vita), ora rivelatori della tua sensibilità.

Lo sguardo sulla complessità delle relazioni, sulla tua martoriata (anche dagli stereotipi) Napoli si è tradotto in una miriade di osservazioni appuntite, intelligenti, farfugliate in quella tua lingua particolare che non era soltanto dialetto, era il risultato di un’insicurezza diffusa, più che privata, mista al bisogno – coadiuvato dalla tua tipica gestualità – di mantenere una tradizione teatrale, rinnovandola. Una capacità di comunicare apparentemente frammentaria che non ti impediva di essere all’occorrenza feroce, sempre a modo tuo.

Il tempo passa, il clima peggiora (in ogni senso) e ci accorgiamo progressivamente, inesorabilmente dell’importanza e della peculiarità (culturale) della tua figura, l’irripetibilità di uno stile naturale, di un umorismo combattivo, del vuoto profondo che hai lasciato così presto. Almeno possiamo ricordarti, continuare ad apprezzare il tuo lavoro. E celebrarti, di cuore, per i tuoi meriti, riconosciuti o da riconoscere.

Sinceramente

Raxam

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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