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Black Panther: la recensione di Verve

Le distinzioni odiose stanno finalmente per cadere a Hollywood? Black Panther, film commerciale ben congegnato, dà il suo valido contributo.

id., USA, 2018  di Ryan Coogler con Chadwick Boseman, Michael B. Jordan, Lupita Nyong’o, Martin Freeman, Danai Gurira, Angela Bassett, Forest Whitaker, Andy Serkis

Ogni tanto il discorso sull’inarrestabile Marvel va aggiornato, perché ci si aspetta da un momento all’altro qualche crepa in un ritmo produttivo così sostenuto e in un piano a lung(hissim)o termine talmente ramificato (con oculata arditezza). Ma niente nubi all’orizzonte, ancora nessun cedimento tangibile. In un giorno non lontano sarà una considerazione vetusta e polverosa (ci auguriamo ferventemente): ci troviamo di fronte a un black blockbuster adatto a tutte le platee (ciò che non era riuscito, restando nell’ambito dei comics, alla serie di Blade e men che meno a Spawn), con un orgoglio d’appartenenza condiviso ed efficacemente trasmesso, non più confinato a una fetta di pubblico.

Il grimaldello è una trama classica (con avvio alla 007) eppur attuale, resa dinamica dallo script (non solo dai trucchi): l’ascesa al trono del principe T’Challa (Boseman, già nella medesima tuta nera in Captain America: Civil War) nell’immaginario, ricchissimo (grazie alle estrazioni di vibranio), nascosto stato africano di Wakanda (anticamente nato dall’unione di varie tribù) è insidiata dal vendicativo Killmonger (Jordan, fedelissimo del regista Coogler).

L’eroe è spalleggiato anche da due grintose combattenti, il capo delle guardie Okoye (Danai Gurira, una scoperta) e la geniale sorella Shuri (Letitia Wright), a sottolineare pure la riscossa femminile avviata dall’“avversaria” Wonder Woman, mentre qualche “notabile” è indeciso (come W’Kabi, ovvero l’ottimo Daniel Kaluuya). Le due scene sugli end credits sono meno “pindariche” del solito.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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