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Recensione: Due amici

Dopo il già visto L’uomo fedele, sua opera seconda, esce il debutto registico di Louis Garrel. Due amici analizza l’accettata”tossicità” di certi rapporti.

Les deux amis, Francia, 2015  di Louis Garrel con Golshifteh Farahani, Vincent Macaigne, Louis Garrel, Mahaut Adam, Christelle Deloze, Rhizlaine El Cohen, Pierre Maillet, Ulysse Korolitsky

Ghiotta (e rara) occasione: dopo aver apprezzato mesi fa la sua opera seconda (L’uomo fedele), la distribuzione italiana ci offre la possibilità di dare un’occhiata all’esordio – risalente al 2015 – di Louis Garrel, famiglia d’arte (il padre Philippe è fra i più raffinati registi d’Oltralpe, il nonno Maurice era un formidabile caratterista) e invidiabile carriera d’attore sotto la guida, oltre che del sapiente genitore, di Bertolucci, Desplechin, Hazanavicius, l’ex-compagna Bruni Tedeschi, Polanski (imminente), ai quali aggiungiamo Christophe Honoré, co-autore con lui di questo copione.

È la storia del fragile Clément (Macaigne, adocchiato di recente ne Il gioco delle coppie), innamorato di Mona (Farahani di Pollo alle prugne e Paterson, anche cantautrice: splendida), la quale serve panini di giorno e la sera, con discrezione, sgattaiola su un treno che la riporta al penitenziario dove è reclusa; l’irrequieto, infantile spasimante non lo sa, e chiede aiuto all’amico Abel (lo stesso Garrel), specializzato in visioni distorte e consigli grotteschi.

Il riferimento – più che al cinema del papà (evidente nel lavoro successivo) – ai triangoli in stile Nouvelle Vague (Truffaut e Godard in particolare), con tanto di bonaria demitizzazione dei di poco successivi movimenti sessantottini,  è marcato, ma a spiccare è un rapporto d’affetto tra uomini fondato con assoluta naturalezza su egoismi e menzogne. In fondo, tutti e tre i personaggi (non solo la giovane donna) sono di fatto “ingabbiati”. Come il ricorrente uccellino.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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