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Recensione: Hotel Artemis

Thriller ironico e derivativo, Hotel Artemis può contare senz’altro su una ritrovata Jodie Foster. Poi, forse, su qualche atmosfera limitatamente futuristica.

id., USA/GB, 2018  di Drew Pearce con Jodie Foster, Sterling K. Brown, Dave Bautista, Sofia Boutella, Jeff Goldblum, Charlie Day, Brian Tyree Henry, Zachary Quinto

Siamo nella Los Angeles del 2028 (il che aggiunge un tocco di fantascienza che giova molto al film). Mentre le rivolte all’esterno infuriano, all’ultimo piano di un albergo dismesso ripensato come ospedale clandestino per criminali si presentano dopo un colpo finito male due fratelli rapinatori, uno cauto e intelligente (Sterling K. Brown), l’altro irruento e gravemente ferito (Brian Tyree Henry).

Accolti dall’infermiera che gestisce scrupolosamente la singolare casa di cura (una raggrinzita Jodie Foster) e dal roccioso addetto alla sicurezza (Dave Bautista, forse mai così in parte), i due incontrano altri ospiti: un’agile e misteriosa francese (Sofia Boutella), un arrogante riccastro (Charlie Day) e, poco dopo, un’agente di polizia (Jenny Slate) – soccorrerla significa contravvenire alle regole del sinistro ricovero – e un potente boss, scortato da una marea di scagnozzi e dall’irrequieto figliolo (Zachary Quinto).

La sceneggiatura, scritta dall’esordiente regista Drew Pearce (suo anche lo script di Fast & Furious: Hobbs & Shaw, che spopola proprio in questi giorni al cinema) si annuncia più intrigante di quello che è, tra disvelamenti semi-ingannevoli (il passato della “direttrice”) e somiglianze varie (la più recente? 7 sconosciuti a El Royale, naturalmente). Il mordente cede un po’ strada facendo, tuttavia il valido cast contribuisce a imprimere un buon ritmo, in fondo l’unica vera esigenza di un prodotto del genere, che lascia pure una porticina aperta a possibili “ramificazioni”.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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