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Recensione: Il testimone invisibile

Un pregevole tentativo di rianimare un genere sfortunatamente accantonato. Il testimone invisibile è comunque il remake di una pellicola iberica.

Italia, 2018  di Stefano Mordini con Riccardo Scamarcio, Miriam Leone, Fabrizio Bentivoglio, Maria Paiato, Sara Cardinaletti, Nicola Pannelli, Sergio Romano, Paola Sambo

Il giallo all’italiana – con nomi che vanno da Argento a Martino –  appartiene a una fiorente tradizione della quale, purtroppo, si è perso lo stampo. Ultimamente si notano sparuti, apprezzabili tentativi di ripristino, dove spicca (per incasso) lo stilizzato ma non limato La ragazza nella nebbia. Nel filone pretende ora di inserirsi Stefano Mordini, già sconsolato eppur pugnace osservatore di realtà sociali e lavorative marginalizzate, dalla posizione geografica nonché dalle cronache (Provincia meccanica, Acciaio).

Il regista preleva dal suo aspro film precedente (Pericle il nero) Scamarcio, curiosamente anche nel cast dell’imminente e consimile Non sono un assassino, e gli affibbia il ruolo di un imprenditore di successo accusato di aver ammazzato l’amante (Leone). Motivi ne avrebbe avuto, come sviscera in un serrato colloquio poco prima di un cruciale interrogatorio la nota penalista che ha accettato di difenderlo (Paiato: più occasioni al cinema per lei, please), capace di tirare fuori pressoché subito al suo assistito la storiaccia di un incidente stradale avvenuto mesi addietro, con vittima incessantemente cercata dal padre (Bentivoglio).

La trama si dipana tra continue sorprese (perfino troppe, verso la fine) e un raffinato intreccio di flashback (all’occorrenza ingannevoli), espedienti collaudati che tengono alte tensione e attenzione. Quasi dispiace che un’opera così riuscita non possa essere definita del tutto originale: il soggetto è stato ricavato da una semisconosciuta pellicola spagnola del 2016, Contratiempo.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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