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Recensione: John Wick 3 – Parabellum

Altro capitolo della saga sul taciturno assassino risucchiato dal suo ambiente. John Wick 3 – Parabellum si basa ancora sugli incredibili duelli di Reeves.

John Wick: Chapter 3 – Parabellum, USA, 2019  di Chad Stahelski con Keanu Reeves, Halle Berry, Ian McShane, Laurence Fishburne, Mark Dacascos, Anjelica Huston, Asia Kate Dillon, Lance Reddick

Dopo la scomunica (per un delitto “vietato”) dal “club” massonico al quale appartiene, l’esperto killer John (l’atletico Keanu Reeves) ha qualche illusoria ora di vantaggio per fuggire, concessagli dall’amico Winston (Ian McShane), direttore del lussuoso Hotel Continental (che dovrà risponderne all’“ispettrice” Asia Kate Dillon), sede newyorkese della – scopriamo – sempre più ramificata organizzazione segreta. La taglia di 14 milioni pendente sulla sua testa fa gola naturalmente a molti colleghi.

Ostinatosi a vivere nel ricordo dell’amata moglie defunta (non è istinto di sopravvivenza, dunque, bensì volontà di contrasto), il nostro chiede asilo (all’autoritaria Anjelica Huston) e riscatta favori (dalla splendida e tosta Halle Berry) per il mondo (nel deserto dialoga perfino con un potentissimo Saïd Taghmaoui), scontrandosi spesso con irriducibili avversari (soprattutto un ritrovato Mark Dacascos).

Le spettacolari coreografie dei combattimenti (più nella prima parte, vedi le scene in biblioteca o nella bottega antiquaria), la cui violenza è adeguatamente stemperata nell’esagerazione, continuano a essere la linfa di questa saga action (che alza la posta e non intende restare una trilogia) di Chad Stahelski, ex-stunt del protagonista (per esempio sui set di Matrix, richiamato da battute, situazioni e dalla presenza di uno stavolta ornamentale Laurence Fishburne). L’appiattimento della seconda metà è rinvigorito da un brusco risvolto. Il neologismo del sottotitolo deriva dal noto motto latino “Si vis pacem, para bellum”.

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Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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