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Recensione: La Befana vien di notte

Il regista Soavi prova ad addentrarsi in un genere poco battuto dal cinema nostrano, soprattutto adesso: il fantasy. Con esiti migliorabili ma decorosi.

Italia/Spagna, 2018  di Michele Soavi con Paola Cortellesi, Stefano Fresi, Diego Delpiano, Cloé Romagnoli, Francesco Mura, Jasper Gonzales Cabal, Robert Ganea, Odette Adado

Lo scarso coraggio – per quel che concerne i generi – del cinema italiano impone di salutare con favore l’esperimento di Michele Soavi, discepolo di Dario Argento (La chiesa e La setta sono suoi, benché il folgorante esordio a basso budget Deliria resti il suo risultato migliore), un ardito adattamento da Sclavi (Dellamorte Dellamore), tanta tv e due controverse riduzioni di romanzi (Arrivederci amore, ciao e Il sangue dei vinti). Un regista assai adatto a proporre una via efficace per il fantasy nostrano moderno, con un occhio alle avventure dei mitici Goonies e un altro al contemporaneo target infantile (allora perché le pur sparute parolacce?), senza scordare i supereroi dall’identità segreta.

Tale potrebbe essere considerata Paola (Cortellesi), maestra elementare di giorno (con secoli d’esperienza!) e di notte Befana, invidiosa del successo mediatico dell’“avversario” Babbo Natale e dedita a preparare i doni da consegnare il 6 gennaio. Il cattivo? Un bambino deluso dai suo servigi, oggi perfido giocattolaio (Fresi) votato a screditarla. Un eterogeneo gruppetto d’alunni giunge al salvataggio e diventa il vero protagonista del film.

Soavi non rifugge da un’appropriata atmosfera gotica (culminante nell’ottima scena in cui i ragazzini rischiano lo schiacciamento): effetti speciali all’altezza, attori adulti (compresi i caratteristi Fausto Maria Sciarappa e Giovanni Calcagno) che colgono perfettamente lo spirito giocoso con venature dark dell’operazione… Però gli squilibri nel ritmo ci sono, e non tutto è fluido.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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