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Recensione: Non sono un assassino

Il revival del giallo nostrano continua, e Scamarcio si propone come paladino. Non sono un assassino esibisce diversi pregi che debellano le imperfezioni.

Italia, 2019  di Andrea Zaccariello con Riccardo Scamarcio, Alessio Boni, Edoardo Pesce, Claudia Gerini, Sarah Felberbaum, Barbara Ronchi, Silvia D’Amico, Caterina Shulha

Dopo aver affrontato le accuse de Il testimone invisibile, remake di un film spagnolo, Riccardo Scamarcio si affida al poco prolifico Andrea Zaccariello di Boom e Ci vediamo domani (non la scelta più scontata per un neo-giallo all’italiana), che adatta con Paolo Rossi (non l’attore) un romanzo di Francesco Caringella, per rincarare la dose.

Stavolta è un vice-questore sospettato di aver ucciso un suo carissimo amico giudice (Alessio Boni in uno dei suoi camuffamenti migliori), difeso in aula da un altro sodale, depresso (Edoardo Pesce, stranamente un po’ fuori fase), mentre l’accusa, rappresentata da una notevole Claudia Gerini (ha lavorato molto sulla voce, tra accento meridinale e problemi di corde vocali) e da Vincenzo De Michele (con lui c’è un teso confronto che resta in mente), cerca di farlo a pezzi, forte dei numerosi indizi a carico.

Il frammentario e disorientante intreccio di flashback che compone il plot (per apprezzarlo a dovere, all’inizio della visione bisogna solo memorizzare informazioni) è (quasi) degno delle labirintiche sceneggiature firmate da Guillermo Arriaga. Difetti e dislivelli se ne trovano, ma il bilancio – in un momento in cui il nostro cinema tenta di battere nuove vie o di riscoprirne di vecchie – è ampiamente positivo, anche grazie a un cast femminile che si rifiuta di essere ornamentale, da Sarah Felberbaum e Barbara Ronchi (attuale compagna ed ex del personaggio principale) a Silvia D’Amico (oggetto del desiderio dell’avvocato) e Caterina Shulha (enigmatica moglie della vittima).

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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