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Recensione: Nureyev – The White Crow

Un biopic sull’inarrivabile, intrattabile ballerino. Nureyev – The White Crow è la terza prova dietro la macchina da presa dell’attore Ralph Fiennes.

The White Crow, GB/Francia, 2018  di Ralph Fiennes con Oleg Ivenko, Adèle Exarchopoulos, Ralph Fiennes, Chulpan Khamatova, Raphaël Personnaz, Louis Hofmann, Olivier Rabourdin, Calypso Valois

Per questa nuova regia (dopo i “letterari” Coriolanus e The Invisible Woman), Fiennes sceglie la controversa (non si risparmiano parentesi sul caratteraccio), disallineata (“corvo bianco”) figura del transfuga ballerino (e attore) sovietico Rudolf Nureyev (ben reso dal plastico Ivenko), traducendo in eleganti immagini lo script – tratto da biografia – del veterano David Hare e riservando per sé l’irrigidito ruolo dell’insegnante Puškin, che apre e chiude il film tra difesa e (necessaria) ricusazione.

Il talento emerso durante l’infanzia, gli intensi studi a Leningrado (in cui fu ospite del suo mentore) e la tournée di cinque settimane a Parigi (dove avrebbe chiesto asilo politico una volta subodorata l’intenzione del suo governo di bloccarlo, che poi qui è la scena clou) s’intrecciano con classe per l’intera narrazione. Se il primo segmento è volutamente riconoscibile (interprete bambino, colori smorti, formato diverso), il secondo e il terzo tendono talvolta a confondersi nella loro esaltazione della cultura (tra visite all’Ermitage e al Louvre, con la pregnante sosta sui piedi dei titani) e nel progressivo, sregolato assaporamento della libertà, anche (omo)sessuale (perfino in ciò sta la silente intesa con l’affine maestro). Fino al salvifico incontro con la ricca Clara Saint (Exarchopoulos), vedova e nuora dello scrittore-ministro Malraux.

Ricorre il simbolo del treno (inarrestabile). Nel cast la star della danza Sergei Polunin. Solito appiattimento imposto dal doppiaggio, che non distingue fra russo, francese e inglese!

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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