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Recensione: Piccole donne

Greta Gerwig realizza un’opera meno autoreferenziale rispetto a Lady Bird. Anzi, la sua versione di Piccole donne si dimostra in linea con i tempi.

Little Women, USA, 2019  di Greta Gerwig con Saoirse Ronan, Florence Pugh, Timothée Chalamet, Emma Watson, Eliza Scanlen, Laura Dern, Meryl Streep, Chris Cooper

A ogni epoca la sua riduzione per il grande schermo dell’immortale romanzo di Louisa May Alcott; ricordiamo almeno quelle di George Cukor (1933), Mervyn LeRoy (1949), Gillian Armstrong (1994). Ora se ne occupa di nuovo una signora, l’attrice Greta Gerwig, forse troppo elogiata per il precedente Lady Bird (rielaborante lo stile del marito Baumbach) ma decisa a dimostrare – l’adattamento è suo – che di emancipazione femminile non si parla mai abbastanza.

L’intelligente script, al di là di un non sempre ben gestito doppio binario narrativo (nel 1868 tra New York e Parigi e sette anni prima, nel Massachusetts, terra natia delle sorelle March, con gli echi della Guerra Civile nella quale combatte il padre pastore Bob Odenkirk), rende la storia delle protagoniste la linfa per il famoso romanzo, un work in progress per lo spettatore. Lo realizzerà l’aspirante scrittrice ribelle Jo (Ronan, perfetta!), intenzionata a non sposarsi nonostante la tenera amicizia con Laurie (Chalamet, bravo come d’abitudine ma leggermente meno intonato rispetto al resto del cast), attenta e non certo passiva osservatrice delle vicende della più allineata Meg (la dolce Watson), dell’indispettita Amy (Pugh, da Lady Macbeth uno dei volti del cinema che verrà) e della piccola, cagionevole Beth (la promettente Scanlen), nonché della generosa madre (una stupenda Dern).

Fra gli altri attori, oltre all’impeccabile (c’erano dubbi?) zia Streep, consideriamo l’editore brusco e possibilista di Tracy Letts, il Mr. Laurence di Chris Cooper e il Bhaer di Louis Garrel.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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