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Recensione: The Last Witch Hunter – L’ultimo cacciatore di streghe

The Last Witch Hunter, USA, 2015 di Breck Eisner con Vin Diesel, Michael Caine, Elijah Wood, Rose Leslie, Ólafur Darri Ólaffson, Julie Engelbrecht, Rena Owen, Isaach De Bankolé

the_last_witch_hunter_1Malgrado La città verrà distrutta all’alba fosse uno di quei rarissimi rifacimenti perlomeno decenti di horror che hanno fatto la storia (e la “febbre da rivisitazione” purtroppo non accenna a scendere), ci tocca constatare che le effettive doti artistiche del suo regista Breck Eisner erano maggiormente riconoscibili nel suo lavoro precedente, la scialba avventura Sahara. Infatti, le insufficienti qualità di mestierante del nostro ritornano evidenti in questo fantasy dal budget sulla carta importante (con apporti da post-produzione non proprio esaltanti), provvisto giusto di un paio di sequenze più riuscite (la distruzione di un bar e la pericolosa visita a un consesso di megere moderne) e dell’inimitabile sornioneria di Michael Caine (un sacerdote prossimo alla pensione – gli succede uno sperduto Elijah Wood – che aiuta il muscoloso Vin Diesel nella sua indefessa ricerca di fattucchiere), ma comunque destinato all’oblio. Il quasi millenario protagonista Kaulder, che perse moglie e figlia a causa della Regina delle Streghe e si vendicò di lei, per colpa di una maledizione lanciatagli in punto di morte da quest’ultima non può essere ucciso. La sua missione ancor oggi è smascherare le perfide incantatrici e contrastarle, o almeno redarguire con pazienza le più giovani e incoscienti. Un tran-tran interrotto dall’improvvisa, sospetta dipartita del fedele collaboratore in abito talare, preludio alla chiassosa rentrée della non definitivamente estinta nemica. Niente paura: la confezione è piuttosto innocua, e sotto c’è poca roba.

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Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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