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Recensione: The Nest (Il nido)

Un piccolo horror che ha le carte in regola per far emergere il suo autore, Roberto De Feo, che guida magnificamente gli attori di The Nest (Il nido).

Italia, 2019  di Roberto De Feo con Francesca Cavallin, Justin Korovkin, Ginevra Francesconi, Maurizio Lombardi, Carlo Valli, Massimo Rigo, Gabriele Falsetta, Elisabetta De Vito

Mica male questo esordio (ufficiale) di Roberto De Feo nel lungometraggio! Si dirà che, nella sostanza (e soprattutto nel risvolto finale) assomiglia a tanto cinema horror, e non solo quello spesso poco fantasioso sfornato negli ultimi anni. Però raramente capita di imbattersi in una tale padronanza dei mezzi a disposizione (non molti), in una simile capacità di dirigere gli attori, in una chiarezza d’intenti (perfino allegorici) che non cede alle divagazioni (pur presenti).

Al centro della vicenda un ricco rampollo, Samuel (Justin Korovkin), purtroppo costretto su una sedia a rotelle in seguito a un antico incidente (la cui dinamica è chiarita un po’ alla volta), ma anche a una vita segregata nell’enorme e isolata villa di famiglia per volontà dell’autoritaria madre (Francesca Cavallin, sorprendente), che lo protegge maniacalmente dal mondo esterno. Finché non giunge Denise (Ginevra Francesconi), domestica quasi coetanea del ragazzino che, malgrado i divieti tassativi ricevuti, lo invoglia a esplorare i misteriosi luoghi circostanti.

Alla luce della già accennata conclusione a effetto, i dettagli nebulosi non mancano. Eccezionalmente, diventa un peccato veniale. Merito dell’azzeccata location che contribuisce a rendere l’atmosfera soffocante, certo, tuttavia gioca un ruolo importante l’oculato peso specifico attribuito ai personaggi (a ben guardare, ne entrano in campo parecchi). In particolare, incide il sinistro maggiordomo di Maurizio Lombardi. Segno che rileggere i cliché con intelligenza e metodo si può.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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