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Recensione: X-Men – Dark Phoenix

Quarto (o settimo) capitolo della saga della Fox, X-Men – Dark Phoenix lamenta una prima parte alquanto scarsa. Si migliora con l’arrivo di Fassbender.

Dark Phoenix, USA, 2019  di Simon Kinberg con Sophie Turner, James McAvoy, Michael Fassbender, Nicholas Hoult, Jennifer Lawrence, Jessica Chastain, Tye Sheridan, Alexandra Shipp

In attesa di un ulteriore reboot della neo-associata Disney, la Fox offre un’ultima avventura degli X-Men. Per la quarta volta, dunque, si affrontano/alleano i ringiovaniti nemici/amici Charles Xavier (McAvoy) ed Erik Lehnsherr (Fassbender), l’uno telepate conosciuto come Professor X, fondatore della scuola per mutanti, atta a indirizzarli e riabilitare la loro immagine, l’altro, detto Magneto, capace di calamitare i metalli e rancoroso verso l’intero sistema, tanto da cercare – insieme a “colleghi” con la stessa opinione – un riparato buen retiro.

Duole constatarlo, ma solo con il rientro in campo di quest’ultimo il film, afflitto per quasi un’ora da scrittura e messinscena pressoché scadenti, entrambe a cura di Simon Kinberg, di solito produttore (sì, anche di cinecomics), si riprende sensibilmente, culminando nell’azione a bordo del treno che contrappone tre fazioni – la vera cattiva è incarnata da una spiccante Chastain, vittima di un’entità aliena che intende incanalare il potere ormai fuori controllo (a causa d’un incidente spaziale) della confusa Jean Grey (la Turner de Il trono di spade), ossia la Fenice a cui allude il titolo già al centro del non dissimile X-Men – Conflitto finale – che però giunge forse troppo tardi per sollevare la media.

Mystica (Lawrence) si congeda bruscamente (sappiamo tuttavia che nei fumetti nulla è definitivo). Nei risultati, un modo inadeguato per voltare pagina, e la completa assenza di Wolverine sembra aver portato male. Chissà che combineranno i già annunciati (e rinviati) New Mutants

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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