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Smetto quando voglio – Ad honorem. La recensione

Tornano i geniali, disperati e incarcerati ricercatori in Smetto quando voglio – Ad honorem. Qualche difetto, ma ne viene fuori una gradevole trilogia.

Italia, 2017  di Sydney Sibilia con Edoardo Leo, Luigi Lo Cascio, Neri Marcorè, Libero De Rienzo, Stefano Fresi, Pietro Sermonti, Paolo Calabresi, Giampaolo Morelli

smetto quando voglio

Girata contemporaneamente al secondo capitolo di Smetto quando voglio, Masterclass, uscito all’inizio dell’anno, questa chiusura della trilogia – sempre firmata dal lungimirante Sydney Sibilia – tira le fila del discorso satirico-sociale, raduna tutti i personaggi (compresi il commissario Francesco Acquaroli e il professore Sergio Solli, non menzionati nei titoli di testa) e li conduce a una degna conclusione.

Uniche obiezioni possibili? Manca un po’ della promessa “epica” finale e la fotografia di Vladan Radovic è troppo satura, mentre c’è un solo nuovo carattere di rilievo (il direttore della prigione Peppe Barra); ma la qualità generale è talmente alta che non è certo il caso di lamentarsi.

Ritroviamo il neurobiologo Edoardo Leo in prigione dopo aver collaborato segretamente con la polizia, che, tramite qualche altro sotterfugio con l’ex Valeria Solarino e con l’aiuto dell’avvocato Rosario Lisma (e perfino dell’inquietante delinquente Neri Marcorè), briga per riunirsi con i colleghi Fresi, Aprea, Lavia, Sermonti, De Rienzo, Calabresi, Bonini e Morelli, detenuti in altri penitenziari, e per evadere e fermare il folle piano di un altro professore, Luigi Lo Cascio, la cui dolorosa storia scopriremo successivamente.

Con il beneplacito – in un dato momento – della poliziotta Greta Scarano, la banda dei ricercatori dunque si adopera per evitare il peggio. Un terzo capitolo ancora divertente, scattante, scritto con gusto da Francesca Manieri, dal Luigi Di Capua di The Pills e dal regista. A proposito: cosa farà adesso?

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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