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Recensione: Alaska

Italia/Francia, 2015 di Claudio Cupellini con Elio Germano, Astrid Bergès-Frisbey, Valerio Binasco, Elena Radonicich, Paolo Pierobon, Roschdy Zem, Marco D’Amore, Antoine Oppenheim

alaska_1Lo spunto è questo: Fausto e Nadine (l’ottimo Germano e Bergès-Frisbey, da tenere d’occhio) s’incontrano sulla terrazza dell’hotel parigino in cui lui fa il cameriere e lei ha appena sostenuto, senza crederci, un provino da modella; una bravata commessa qualche minuto dopo li condanna sia a stare insieme sia a soffrire (spesso non c’è differenza). L’enorme pregio del copione scritto dal regista Cupellini (il quale, dopo lo splendido Una vita tranquilla, sa ancora maneggiare un tipo di cinema che non sfigura all’estero) di nuovo insieme a Filippo Gravino e Guido Iuculano sta nel motivare le azioni dei personaggi: la loro purezza non comporta una manichea suddivisione tra buoni e cattivi, si preferisce piuttosto attribuire equamente gli errori umani che causano le alterne fortune (quasi mai contemporanee) dei protagonisti e che imprimono alla vicenda svolte sovente impreviste. Il bello è che una tale mole di materiale, sufficiente a creare tre o quattro film o una mini-saga, è armoniosamente compressa in poco più di due scorrevoli ore, e la discoteca del titolo non è che un pregnante capitolo di un’avvincente, aspra, amara, essenziale storia d’amore, comunque declinata sul classico ritornello delle aspirazioni mutate in frustrazioni, soprattutto se nel frattempo si sono ottenuti dei risultati (e si cade da un’altezza maggiore). In tal senso, significativo lo struggente ruolo di Sandro (magnifico Binasco), che pensa in grande ma è perso senza un appoggio. Sorniona apparizione di Pino Colizzi, futuro suocero danaroso.

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Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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