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Recensione: Assassin’s Creed

id., USA/GB/Francia/Hong Kong, 2016  di Justin Kurzel con Michael Fassbender, Marion Cotillard, Jeremy Irons, Brendan Gleeson, Charlotte Rampling, Michael K. Williams, Denis Ménochet, Ariane Labed

Si riunisce il team che un anno fa aveva sfornato una nuova versione, formalmente interessante (grazie all’attenta fotografia di Adam Arkapaw, per fortuna riconfermato anche lui) ma andando al sodo carente, di Macbeth: il poco appassionante regista Kurzel e i divi Fassbender e Cotillard, che nell’adattamento del dramma shakespeariano dimostrarono, a differenza di un cast di comprimari probabilmente seguito meglio, che pure gli attori migliori non sono esenti da momenti di svogliatezza. Un problema arginato in quest’adattamento di uno dei videogames più amati degli ultimi tempi, dato che in tale genere di trasposizione (per sua natura difficile e quasi sempre deludente) è normale privilegiare l’azione (nel qual caso piuttosto concitata) alle performance. Ciò non significa che il risultato non lasci ancora a desiderare. La trama riguarda un condannato a morte “salvato” da un’organizzazione scientifica che, tramite apposito macchinario, lo invia nel passato, nel cruento Quattrocento spagnolo, e lo fa entrare nei panni (o meglio nell’armatura) di un suo avo, facente parte della setta degli Assassini, impegnati a contrastare i Templari nella conquista di una mitica mela che regola nientemeno che il libero arbitrio. Lussuose partecipazioni speciali non nobilitano uno spettacolo che, al di là della ricercatezza delle immagini, non appassiona (non c’è da scandalizzarsi: Irons già si infilò nel ben più disastroso Dungeons & Dragons) ed è immediatamente dimenticabile dai non-giocatori. Non importa: la saga è in cantiere…

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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