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Recensione: Assolo

Italia, 2016  di Laura Morante con Laura Morante, Gigio Alberti, Francesco Pannofino, Carolina Crescentini, Emanuela Grimalda, Marco Giallini, Piera Degli Esposti, Lambert Wilson

assolo_1Rispetto al suo esordio registico (Ciliegine, 2012), intriso di spirito (e liquidità) francese, Laura Morante progredisce: emergono il gusto per l’immagine (soprattutto onirica) e una spiccata eppur non dozzinale tendenza all’allegoria (vedi la valenza dominante del colore rosso e la cagnolina che rappresenta l’amor proprio). Certo Flavia, la protagonista interpretata dall’attrice-autrice (il copione lo ha scritto insieme all’ex-marito Daniele Costantini, mentre la loro figlia Eugenia ha una particina), esibisce nevrosi e insicurezze – come la ritrosia a imparare a guidare o a ballare – che sembrano appartenerle, perlomeno per traslazione, sicché l’operazione assume presto le sembianze di una seduta terapeutica, senz’altro insolita ed egocentrica (a dispetto del gran numero di simpatici e disponibili volti noti chiamati ad arricchire il cast in ruoli comunque quasi tutti ben definiti), ma forse non proprio il materiale ideale per tirare fuori un film. È l’unico, tangibile e per certi versi cospicuo limite (al netto dei “dosaggi” perfettibili di un paio di scene) di una commedia peraltro particolarmente spiritosa, incentrata su una donna che, per timore di rimanere sola, lega con le nuove compagne (Grimalda, Crescentini) dei suoi ex (Pannofino, Alberti), flirta con un uomo sposato (Wilson), diffida delle avances di un collega (Giallini), osserva le amiche serene (Donatella Finocchiaro) o esaurite (Angela Finocchiaro), raccontando tutto all’analista Degli Esposti. Quando avrà scorto i loro punti deboli saprà rialzarsi?

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Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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