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Recensione: Birds of Prey e la fantasmagorica rinascita di Harley Quinn

In superficie pimpante e variopinto, Birds of Prey rischia di stancare presto. La magnetica presenza di Margot Robbie e qualche altro elemento non bastano.

Birds of Prey: And the Fantabulous Emancipation of One Harley Quinn, USA/GB, 2020  di Cathy Yan con Margot Robbie, Ewan McGregor, Mary Elizabeth Winstead, Jurnee Smollett-Bell, Rosie Perez, Ella Jay Basco, Chris Messina, Ali Wong

Torna, estrapolata dalla banda di Suicide Squad (blockbuster di svolta della DC che oggi si fa impropriamente a gara a demolire e in cui già brillava), Harley Quinn, nei cui coloratissimi panni si cala con riconfermata esuberanza Margot Robbie. È lei il vero traino del film, sulla carta abbastanza corale, e l’unico vero motivo per dargli eventualmente uno sguardo (nonostante altre interessanti presenze). Cathy Yan, regista semi-esordiente (nessuno conosce il precedente Dead Pigs), sovraccarica la messa in scena con continui corpo a corpo, sparatorie, inseguimenti, conseguendo forse una coerenza stilistica a scapito, tuttavia, di una visione davvero fruibile.

Harley, dopo aver rotto con Joker (continuamente evocato nei dialoghi) e non essendo quindi più protetta, si ritrova braccata da quasi tutti i criminali di Gotham. Soprattutto lo spietato Roman “Black Mask” Sionis (Ewan McGregor in libera uscita), che intende recuperare un diamante doppiamente prezioso. Ce l’ha una giovanissima borseggiatrice, Cassandra (Ella Jay Basco), che la scarsamente premurosa protagonista prova a difendere nel segno del girl power insieme a Renée, poliziotta che dà loro la caccia (la piacevolmente rediviva Rosie Perez), alla poco convinta scagnozza del nemico Dinah (Jurnee Smollett-Bell, intrigante scoperta) e a una misteriosa vendicatrice (Mary Elizabeth Winstead, apparentemente rimasta nel pantano di Gemini Man).

La narrazione va allegramente avanti e indietro (non è un male), si direbbe un cartone animato in acido. Spiace che non funzioni.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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