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Recensione: Brave ragazze

Opera seconda, Brave ragazze continua a riferirsi con umiltà ai maestri della commedia nostrana. Risultato decoroso, o perlomeno non superficiale.

Italia, 2019  di Michela Andreozzi con Ambra Angiolini, Ilenia Pastorelli, Serena Rossi, Silvia D’Amico, Luca Argentero, Stefania Sandrelli, Max Tortora, Massimiliano Vado

Nel nostro cinema sono tornati di moda i fuorilegge improvvisati. Dopo Non ci resta che il crimine e prima del suo imminente seguito (Ritorno al crimine) e de Gli uomini d’oro (denominatore comune: Gianmarco Tognazzi), ecco la ricostruzione abbellita d’un fatto di cronaca degli anni ’80 (in auge anche quelli), incentrato su alcune donne in difficoltà economiche che, camuffate da maschi, misero a segno delle rapine in banca.

Anna (Angiolini) è un’operaia appena licenziata che vive con la madre (Sandrelli) e i figli piccoli (uno, Federico Ielapi, sarà Pinocchio per Garrone), e pure le sorelle Chicca (Pastorelli) e Caterina (D’Amico), l’una strafottente, l’altra – aspirante universitaria – più introversa, si ritrovano improvvisamente disoccupate. Insieme alla remissiva Maria (Rossi), casalinga davvero disperata (il marito Giuseppe – Vado, consorte dell’autrice – la picchia), progettano una rapina nella filiale locale (siamo a Gaeta), innescando la tenace indagine del neo-arrivato commissario Morandi (Argentero) e aggravando presto le loro posizioni.

Già regista del tutt’altro che disprezzabile Nove lune e mezza, l’onesta e abbastanza equilibrata caratterista Andreozzi (qui nel cameo dell’agente veneta disfattista, nonché sceneggiatrice con Alberto Manni) conferma la sua intenzione di muoversi – nei limiti del possibile – nel glorioso solco della commedia all’italiana, sorridendo su spunti seri e affidandosi alle facce giuste (citiamo almeno il prete di Max Tortora, il palo di Fabrizio Colica, il direttore di Pietro Genuardi).

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Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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