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Recensione: La quinta onda

The 5th Wave, USA, 2016  di J Blakeson con Chloë Grace Moretz, Nick Robinson, Alex Roe, Zackary Arthur, Maika Monroe, Ron Livingston, Liev Schreiber, Maria Bello

la_quinta_onda_1Se gli adattamenti di saghe young adult ambientate in futuri post-apocalittici (oltre a Divergent, Maze Runner e The Giver – il cui avvenire è incerto –, registriamo che l’appena concluso Hunger Games ha lasciato un posto libero) non vi sembrassero ancora abbastanza, ecco l’avvio di una nuova trilogia, stavolta discendente dagli scritti di Rick Yancey e diretta dal poco noto J Blakeson. In effetti, una dirimente differenza dalle altre recenti serie fantascientifico-distopiche incentrate su adolescenti salta subito agli occhi: al netto dell’incipit anticipatore, la storia inizia in un mondo “normale”; quindi assistiamo all’arrivo di una nave aliena, la quale, dopo un periodo di silenzioso stallo, intraprende un’azione per gradi già suggerita dal titolo: taglia la corrente, scatena cataclismi, diffonde epidemie, si mescola sotto mentite spoglie fra i provati e decimati terrestri. Quale sarà la prossima mossa? Intanto la povera studentessa Cassie (Moretz, che di film in film emerge a piccoli passi fra gli attori della sua generazione) ha già perso la madre, e con il padre (Livingston) e il fratellino Sam (Arthur) si rifugia in una comunità, che ben presto finisce sotto l’ala prepotente delle forze militari (fra i graduati riconosciamo – anche per professionalità – Bello e Schreiber). Rapidamente l’“eroina per forza” si ritrova sola, in lotta per la sopravvivenza e alla ricerca disperata di Sam. E divisa, come da copione, tra un prestante superstite (Roe) e un capopattuglia compagno di liceo (Robinson). Intrattiene, finora…

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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