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Recensione: Paradise Beach – Dentro l’incubo

The Shallows, USA, 2016  di Jaume Collet-Serra con Blake Lively, Óscar Jaenada, Ángelo José Lozano Corzo, José Manuel Trujillo Salas, Bret Cullen, Sedona Legge, Diego Espejel, Pablo Calva

paradise_beach_dentro_l'incubo_1Malgrado sia intenzionalmente derivativo, l’ultimo thriller dell’esperto Collet-Serra, autore di serrate cacce all’uomo con Neeson (Unknown – Senza identità, Non-Stop, Run All Night – Una notte per sopravvivere) nonché del già ingiustamente obliato Orphan, entra di diritto nella classifica dei migliori shark movies di sempre. Infatti, una volta accettato il solito assunto di genere – scientificamente sbagliato – che vuole che gli squali siano “cattivi”, non si può negare al film l’invidiabile capacità di mantenere alta la tensione: da quando la protagonista Nancy (Lively, in grado di reggere la scena da sola praticamente per l’intera durata della pellicola), surfista recatasi sulla spiaggia messicana preferita dalla madre defunta, resta bloccata su uno scoglio (insieme a un gabbiano ferito come lei), minacciata da un tenace predatore pinnato, non ci si ferma un attimo. La partecipazione dello spettatore è totale, la narrazione è ravvivata da varie trovate di regia (picture in picture per illustrare le videotelefonate con papà e sorella, uno sbranamento descritto da uno sguardo) e della sceneggiatura di Anthony Jaswinski (suoi i copioni di Vanishing on 7th Street e Kristy), la quale rende il luogo denso di significati psicologici (vedi il profilo della roccia o la carcassa della balena). Magari è roba già vista, e possibilmente la problematica eroina ha delle conoscenze mediche un po’ troppo sviluppate per essere una che ha quasi deciso di mollare l’università; ma la sospensione dell’incredulità serve proprio a questo, no?

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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