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Recensione: Una spia e mezzo

Central Intelligence, USA, 2016  di Rawson Marshall Thurber con Dwayne Johnson, Kevin Hart, Danielle Nicolet, Amy Ryan, Jason Bateman, Aaron Paul, Ryan Hansen, Thomas Kretschmann

CENTRAL INTELLIGENCEA furia di tentare, il vivace Hart capita infine in una commedia spassosa. A patto di stare al gioco. Il film di Thurber (già dietro al frizzante Come ti spaccio la famiglia, però suo è anche lo sgonfio Palle al balzo) è tutto imperniato sul cliché dell’indagine condotta da due caratteri contrapposti, con un ironico occhio a faccende – al contrario – piuttosto serie quali le conseguenze del bullismo, i complessi d’inferiorità e le terapie pensate per le coppie in crisi, o a ulteriori stereotipi (la rimpatriata della scuola, il doppiogiochismo pericoloso). La discreta sceneggiatura (malgrado qualche dettaglio meno curato, vedi le scene con il notebook danneggiato, l’elicottero “guasto” o l’esagerato nudo finale), scritta dal regista insieme a David Stassen e Ike Barinholtz (nel cast del dittico di Cattivi vicini), inquadra un abile ma grigio contabile, sposato con la bella del liceo (Nicolet) e allora assai popolare, che si vergogna del suo attuale insuccesso sociale e, in generale, tende a vivere in apnea. Rientra in contatto con un insicuro compagno di classe che si ritrovò ad aiutare (un felicemente autoironico Johnson, digitalizzato nella sua goffa versione adolescente), un tempo obeso e preso di mira, oggi muscolosa spia (lo si scoprirà dopo) sulle tracce di un traffico di codici dai risvolti disastrosi. Braccato da una diffidente superiore (Ryan, splendida ovunque), l’agente rimane – scelta sperimentata eppure acuta – un’incognita morale per quasi tutto lo sviluppo della trama. Fulminanti ruoli per Bateman e Paul.

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Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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