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Recensione: La cena di Natale

Italia, 2016  di Marco Ponti con Riccardo Scamarcio, Laura Chiatti, Michele Placido, Maria Pia Calzone, Antonella Attili, Eugenio Franceschini, Veronica Pivetti, Uccio De Santis

la_cena_di_natale_1Al netto delle milionarie saghe estere, capita di rado d’imbattersi in un sequel girato a un solo anno di distanza dal film originale, soprattutto in Italia.

Dopo il discreto successo di Io che amo solo te, Ponti (che all’epoca del suo esordio Santa Maradona pareva voler svecchiare i canoni della nostra commedia) adatta un altro libro di Paolo Bianchini (il quale non partecipa più alla sceneggiatura), radunando nuovamente – sempre più difficile… – l’originale cast di bei nomi (anche se al personaggio della Littizzetto subentra quello della Pivetti).

Debole motore narrativo è un costoso monile con smeraldo che Mimì (Placido) dona alla vanitosa moglie Matilde (la zelante Attili) prima di darle il benservito e dileguarsi finalmente con l’amata ma comprensibilmente titubante Ninella (la Calzone rimane ammirevole); il problema è che l’inanellata e raggiante consorte organizza all’ultimo momento un cenone per la sera del 24 dicembre, a cui finiranno per partecipare, oltre ovviamente ai figli non così felicemente coniugati delle due signore (l’infedele Scamarcio e la sospettosa Chiatti), vicini e conoscenti (e per un po’ pure il divertente padre Gianni del riconfermato De Santis).

Molte situazioni, tra risvolti annunciati e chiose concilianti, si rivelano ornamentali, vedi il corteggiamento “galeotto” della padrona di casa da parte dell’ex-detenuto Franco (un “depotenziato”Antonio Gerardi), fratello della sua “rivale”, o la riduzione a macchietta di Daniela/Eva Riccobono. Meno male che sullo sfondo c’è ancora Polignano a Mare…

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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