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Recensione: Pan – Viaggio sull’isola che non c’è

Pan, USA/GB/Australia, 2015 di Joe Wright con Levi Miller, Hugh Jackman, Garrett Hedlund, Rooney Mara, Amanda Seyfried, Adeel Akhtar, Nonso Anozie, Kathy Burke

pan_1Una confezione di lusso non può evitare il fallimento sostanziale (e anche commerciale, stando agli incassi americani) di questo fantasy firmato da Joe Wright, capace con le sue eleganti soluzioni registiche di caratterizzare riduzioni letterarie classiche (Orgoglio e pregiudizio, Anna Karenina) o moderne (Espiazione) e di trovare nuove vie per l’azione (Hanna); perfino il più debole Il solista, tratto da una biografia, ha lasciato un piccolo segno. Qui però la pretesa è eccessiva: inventarsi le origini di Peter Pan, perlopiù infischiandosene non già del suo creatore Barrie (ché quello c’era da aspettarselo), ma pure di Disney, di Spielberg (Hook negli anni ha acquisito valore) e della meno incisiva visione di P.J. Hogan. Un lavoro originale, dunque? Non proprio, dato che si tratta di un’avventura poggiante prevalentemente sugli effetti speciali, imperniata sul reclutamento forzato dell’orfanello Peter (Levi Miller) e di altri coetanei da parte del temibile pirata Barbanera (un Jackman vacuamente professionale), avido di preziosa polvere di fata. Il futuro persecutore Uncino (Garrett Hedlund) è un compagno di sventura, solo più cresciuto. Ecco: il fatto che costui sia un amico dà il segno della temerarietà – dagli esiti sfortunati e, più grave, noiosetti – dell’operazione, che include inoltre il poco credibile doppiogiochismo di Spugna (l’inidoneo Adeel Akhtar) e spazi troppo impegnativi per Giglio Tigrato (Rooney Mara). Per risollevare un andazzo simile ci vuol altro che la moltiplicata Cara Delevingne in versione sirena…

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Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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