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Recensione: The Dressmaker – Il diavolo è tornato

The Dressmaker, Australia, 2015  di Jocelyn Moorhouse con Kate Winslet, Liam Hemsworth, Hugo Weaving, Judy Davis, Sarah Snook, Alyson Whyte, Shane Bourne, Sacha Horler

the_dressmaker_il_diavolo_è_tornato_1Assente dal grande schermo dal 1997 (anno di Segreti, con la Pfeiffer), la regista di Melbourne Jocelyn Moorhouse non ha mai smesso di prediligere le storie al femminile (con l’eccezione di Istantanee, che rivelò il talento e l’estro di Hugo Weaving, qui ritrovato nel ruolo del poliziotto che ama travestirsi). Questo suo nuovo lavoro (da non confondere con il letterario e ormai datato La sarta – The Dressmaker) è, per l’appunto, un patchwork di toni – dall’ilare al mesto, dal romantico in acido al giallo amnesico, passando per psicodramma familiare e vendetta in costume (e quanti ce ne sono, di sgargianti costumi!) – frullato senza badare ai dosaggi. Soprattutto, è l’ennesima conferma della versatilità di Kate Winslet (classe 1975), che non solo può agevolmente passare per coetanea e oggetto del desiderio del prestante Liam Hemsworth (classe 1990), ma sa essere sexy, fragile e risentita senza tradire la natura del suo personaggio. Che è Tilly, ritornata nel 1951 nel paesino australiano d’origine, Dungatar, dopo un lunghissimo esilio inflittole a causa di una terribile disgrazia. È diventata un’abilissima modista che ha girato il mondo e, una volta raggiunta l’apparentemente svanita madre (una Judy Davis invecchiata e furbastra), è pronta a prendersi una rivincita. La trama (popolata da troppi personaggi con problemi comportamentali) ha dei sentori di Dogville (benché provenga da un romanzo di Rosalie Ham) e accusa una parziale aritmia, ma sfoggia anche una delle svolte più sorprendenti che si siano viste ultimamente.

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Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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