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Recensione: Deadpool

id., USA, 2016  di Tim Miller con Ryan Reynolds, Morena Baccarin, Ed Skrein, T.J. Miller, Gina Carano, Brianna Hildebrand, Leslie Uggams, Jed Rees

DEADPOOL

Apparso fugacemente (e snaturatamente) in X-Men: Le origini – Wolverine, sempre con le “fattezze sfatte” del veterano – ha altre due super-tute nel guardaroba filmico – Reynolds, Deadpool anche sulla carta non assomiglia a nessun altro eroe della Marvel. Prima di tutto è più “giovane” (il suo debutto fumettistico risale al ’91); poi, oltre a essere tendenzialmente più scorretto e scurrile, è mosso da sentimenti personali di vendetta nei confronti del sadico dottore (Skrein, più credibile rispetto a The Transporter Legacy) che, con la promessa di guarirlo dalla malattia terminale che lo affliggeva (l’intento reale era creare un soldato mutante, invincibile e asservito), lo torturò a lungo fino a sfigurarlo. Potenziato e sfuggito alle grinfie dello spietato carceriere, il nostro non sa se mostrarsi all’amata (Baccarin), che lo conobbe quando ancora raddrizzava torti a pagamento. Pieno di sberleffi perlopiù simpatici (dai titoli di testa canzonatori montati su una stilizzatissima sequenza d’apertura alle chiamate in causa dirette al pubblico, dagli autoironici richiami alla “povertà” della produzione – soprattutto quando si nominano i “danarosi” X-Men – alla battuta lanciata a credits conclusi che fa tanto Una pazza giornata di vacanza), il film costituisce già, tra alti e bassi, uno svecchiamento del comic cinematografico per come è inteso oggi. Del resto Stan Lee con l’irresistibile e immancabile cameo dà la sua benedizione; quindi, al di là di qualche perplessità, tributiamo a maggior ragione un plauso all’operazione.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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