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Recensione: Tiramisù

Italia, 2016  di Fabio De Luigi con Fabio De Luigi, Vittoria Puccini, Angelo Duro, Giulia Bevilacqua, Giovanni Esposito, Nicola Pistoia, Orso Maria Guerrini, Pippo Franco

tiramisù_1Per esordire alla regia De Luigi, anche unico sceneggiatore, si cuce addosso il personaggio di Antonio, rappresentante di garze e cerotti che non gode di alcuna considerazione presso gli studi medici, finché in uno di essi non dimentica un delizioso tiramisù preparato dalla moglie Aurora e destinato alla Caritas. Scambiato per un gentile omaggio dal dottore che prima l’aveva ignorato (Esposito), il dolce, involontario mezzo corruttivo, dà una svolta alla carriera del mediocre venditore, che dai medicinali veri e propri passa ad affari di grosso calibro, spronato alla mancanza di scrupoli dal cognato Franco, ben inserito nel settore delle boutiques. Al di là di qualche scambio di battutine meglio assortito, è proprio nello snodo cruciale che si riscontra un difetto emblematico: i coniugi non si sorprendono dell’equivoco ed elargiscono la ricetta mentre sono al cinema (a vedere un’opera di Léger, poi…), in una scena decisamente mal congegnata. La scarsa cura per simili passaggi o per dettagli non irrilevanti (il palermitano Duro – al debutto – fratello della fiorentina Puccini? Se non avessero accenti sarebbe perfino credibile…) sono l’indizio inequivocabile di una fretta che spreca tutte le risorse in campo, dal bell’elenco di caratteristi coinvolti (Alberto Farina, Niccolò Senni, Bebo Storti, Bob Messini, Nicola Nocella) a un fuoriclasse “latitante” da tempo come Pippo Franco, il quale, nel ruolo del primario onesto, perlomeno riesce a dispensare qualcuno dei suoi (autentici) consigli salutari.

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Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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