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Recensione: Captain America – Civil War

id., USA/Germania, 2016  di Anthony Russo, Joe Russo con Chris Evans, Robert Downey Jr., Scarlett Johansson, Sebastian Stan, Anthony Mackie, Daniel Brühl, Jeremy Renner, Elizabeth Olsen

Marvel's Captain America: Civil War L to R: Black Panther/T'Challa (Chadwick Boseman), Vision (Paul Bettany), Iron Man/Tony Stark (Robert Downey Jr.), Black Widow/Natasha Romanoff (Scarlett Johansson), and War Machine/James Rhodey (Don Cheadle). Photo Credit: Film Frame © Marvel 2016

Ha forse bisogno l’ultimo blockbuster della Marvel (che trasuda gigantismo a ogni inquadratura, sia essa digitalizzata o dedicata al close-up di uno dei tantissimi volti noti schierati in campo) di recensioni positive per sbancare il botteghino? Naturalmente no, anche perché il marchio è ormai così amato dalle giovani platee che si potrebbero perfino dimezzare le (altre) cifre spropositate investite nel martellante battage pubblicitario ottenendo comunque incassi globali miliardari. Il “problema” è che in mezzo a tanta bulimia produttiva, giustificata da capillari ambizioni narrative che collegano con invidiabile coerenza ogni nuovo film ai precedenti e ai successivi (imperativo ormai vedere tutti i titoli di coda), la qualità non accenna a scendere. Le sequenze d’azione sono coinvolgenti, gli studiati caratteri mai scialacquati – (ri)chiamare attori noti come Paul Rudd, Paul Bettany o William Hurt significa concedergli uno spazio dignitoso – e i nessi saldi. E l’ironia è puntuale. Però la faccenda, pur fumettistica, è seria: visti i disastri collaterali causati da alcuni interventi degli Avengers, il governo esige di supervisionare i prossimi. Ciò provoca (paradossalmente) la ripulsa del patriottico Steve Rogers/Captain America (Evans) e l’approvazione incondizionata del solitamente disallineato Tony Stark/Iron Man (Downey). A far salire la tensione c’è poi la difesa nei confronti dell’imprevedibile Soldato d’Inverno (Stan) da parte del primo, suo vecchissimo amico; mentre qualcuno trama… Godibile, dall’inizio alla fine.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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