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Recensione: Come ti divento bella

Commedia edificante che funziona a metà. Ma su Amy Schumer nessun dubbio: è lei l’insostituibile locomotiva di Come ti divento bella.

I Feel Pretty, USA/Cina, 2018  di Abby Kohn, Marc Silverstein con Amy Schumer, Michelle Williams, Rory Scovel, Tom Hopper, Emily Ratajkowski, Lauren Hutton, Naomi Campbell, Adrian Martinez 

Il robusto (in ogni senso) talento di Amy Schumer, notissima negli USA, era già evidente in un paio di zoppicanti film giunti anche in Italia, Un disastro di ragazza, da lei pure scritto, e Fottute!. Ora, sottraendo volgarità e aggiungendo sostanza, la nostra abita un plot costruitole su misura dalla coppia di sceneggiatori specializzati in commedie (non indimenticabili) Kohn & Silverstein, esordienti alla regia.

Renée è una sgraziata curatrice del settore on line della danarosa azienda di moda Leclair (alias una rediviva Hutton). È indomita: s’iscrive ai siti d’incontri per cuori solitari nonché in palestra. Qui le occorre un incidente “rivelatore”: dopo una brutta caduta dalla cyclette inizia a vedersi bella, e ciò le infonde una sicurezza che la porta a bruciare le tappe sul lavoro, entrando perfino nel consiglio dell’ereditiera Avery (una garrula ed esitante Williams: se la sua parte fosse più lunga ruberebbe la scena alla protagonista), a indirizzare una linea di prodotti per donne non appariscenti (quale “era” lei), a conquistare il buon Ethan (Rory Scovel) e non solo.

L’invito a rimanere comunque se stessi nella fagocitante società dei consumi è chiaro dall’inizio (anzi, dal trailer); ciò comporta che – al di là della pregnante chiusura – la seconda metà della trama abbia meno da dire.

Rara incursione cinematografica della modella Campbell. Qualche fonte annette un punto esclamativo alla fine del titolo, che invece sul manifesto è dotato d’un asterisco rimandante alla specificazione “sexy, spiritosa, irresistibile”.

raxam

Essere avvolti dal buio, completamente proiettati verso un grande schermo sul quale si rincorrono immagini oggi squillanti, domani grigie, dopodomani mute, ma sempre in grado di creare cariche emotive più o meno durature, a volte perfino contrastanti. Sensazioni uguali e diverse delle quali Raxam non potrebbe fare a meno e della cui intensità propone la propria analisi. Condivisibile o meno, è comunque l'invito a non dimenticare un rito aggregativo e assai stimolante per la mente, perpetuatosi nonostante tutto per 120 anni: il cinema al cinema. E ragionarci su, o almeno provarci, non guasta mai.

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